IL MESSAGGIO DI GIANFRANCO PANNONE – Categoria Autori di documentari

Candidarsi per i 100 autori quando si è già fatto parte del cd nei primi anni della nostra associazione ha un significato ben preciso: assumersi una responsabilità, anche generazionale, rispetto a uno stato delle cose che ha visto sì nel corso degli ultimi 10 anni alcuni miglioramenti in termini di diritti e di investimenti economici, ma che sostanzialmente paga ancora la mancanza di un respiro più ampio sul piano della politica culturale. E non mi riferisco solo al mondo dei documentaristi, cui è comunque legata questa mia candidatura, e nemmeno al solo cinema, ma a qualcosa di più ampio che riguarda lo stato delle arti: un’incapacità generale di valorizzare ciò che si produce in questo Paese. Credo che tutto questo sia generato da uno stato di perenne incertezza o, meglio, di precarietà, in cui versano le arti in genere, contrariamente a ciò che accade in altri paesi europei. Ed è un pensiero questo che condivido più che mai con tanti colleghi, alcuni dei quali, penso a Marco S. Puccioni e a Valerio Jalongo, hanno deciso di candidarsi come me a distanza di anni dalla prima volta.
Dal punto di vista della incertezza- precarietà il documentario, specie quello d’autore, continua a fare la parte della cenerentola: budget ben sotto gli standard europei e di conseguenza paghe altrettanto basse se non addirittura imbarazzanti per i più giovani; per non dire delle difficoltà distributive del prodotto documentaristico d’autore nelle sale come nei circuiti televisivi e nelle piattaforme.
In tutto questo pesa non poco anche la mancanza di un sindacato che agisca più incisivamente sui diritti basici dei lavoratori dello spettacolo, quali, per ex, una cassa di previdenza dei registi e degli sceneggiatori o la possibilità di arrivare nel corso del tempo a una pensione degna di questo nome.
Dunque, sì alle gilde degli sceneggiatori e dei registi, ma anche sì a una federazione degli autori di cinema e tv che raccolga le sigle diverse di registi e sceneggiatori, come anche anche i singoli autori non affiliati ad alcuna associazione; insomma, sì a una federazione della creatività cinematografica e televisiva. Perché ai giusti diritti sindacali, per giunta in un mondo dell’audiovisivo in evidente movimento, è bene affiancare un respiro “politico” capace di valorizzare il nostro cinema attraverso una diversificazione d’offerta più ampia di quanto oggi non lo sia e anche la difesa di un cinema indipendente che non necessariamente guardi agli alti budget delle grandi produzioni. Cinema è tante cose, ma soprattutto, anche essendo un’industria, non è solo profitto; e la parola autore, pur inserita in un contesto più complesso che in passato, oggi più che mai va preservata.
Non ultimo va considerata la necessità che la nostra Associazione, anche in vista di un prigetto federativo, faccia riferimento a figure tecniche capaci di difendere gli interessi degli autori; tra questi va contemplata la figura di un Direttore generale capace di “fare lobby” nelle sedi istituzionali, in una situazione che, nel bene e nel male, proporrà di qui a breve nuovi assetti.

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